LA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE DIRIME IL CONTRASTO SUL DANNO C.D. TANATOLOGICO
Con la pronuncia in esame (Cass. Civ., sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350 - Pres. Rovelli - Rel. Salmè) il Giudice di Legittimità è intervenuto per comporre il contrasto – invero, più apparente che concreto - sulla sussistenza del c.d. danno tanatologico e sulla sua trasmissibilità jure hereditatis.
Pur in presenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale che prende le mosse da una risalente pronuncia (Cass. Civ., sez. Un., 22 dicembre 1925 n. 3475), con la sentenza c.d Scarano (dal nome dell’estensore) la Corte di Cassazione (Cass civ., sez. III, 23.01.2014 n. 1361), ha ammesso la risarcibilità, jure hereditatis, del danno derivante da perdita della vita verificatasi immediatamente dopo le lesioni patite in conseguenza di un sinistro stradale.
Rilevando tale consapevole modifica del costante orientamento nomofilattico, la terza sezione civile, in altro giudizio, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite al fine di verificare se l’isolato mutamento potesse aprire il varco all’introduzione nel nostro sistema del c.d. danno tanatologico.
Le Sezioni Unite, precisato che la questione non afferisce alla risarcibilità dei danni derivanti da morte, allorquando trascorra un apprezzabile lasso di tempo fra le lesioni e l’evento esiziale, essendo, questo, un tema pacifico, esclude la sussistenza di un diritto, trasmissibile jure hereditatis, per la perdita del bene vita quando la morte sia immediata o segua entro brevissimo lasso di tempo le lesioni.
Tutto ciò sulla scorta di due presupposti. Anzitutto, la morte non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene salute. In secondo luogo, affinché una perdita (nel caso, quella del bene vita) possa trasformarsi in un danno risarcibile è necessario che sia rapportata ad un soggetto legittimato a far valere il conseguente credito risarcitorio, che, nel caso di morte immediata, non sussiste più, proprio per tale ragione.
La questione è risolta osservandola dal punto di vita dell’esistenza del soggetto titolare del bene-vita leso. Se da un lato, con la morte viene leso il bene-vita, contemporaneamente cessa, però, di esistere il titolare di detto bene, cosicché il preteso e conseguente credito risarcitorio diviene intrasmissibile, per la ragione che esso non è mai entrato a far parte del patrimonio del deceduto, posto che con l’evento morte, il soggetto cessa di essere titolare di diritti (meglio, non può più acquisirne), ivi compreso quello risarcitorio conseguente alla lesione del bene-vita.
In buona sostanza, la pronuncia non fa altro che attestarsi seccamente sul precetto di cui all’art. 1 primo comma del codice civile, facendo coincidere la nozione di capacità giuridica con quella della persona in senso fisico.
Sebbene la soggettività giuridica non sia ancora capacità, se non in potenza, l’impostazione, tuttavia, lascia dubbi sol che si osservi che non sono estranee al nostro sistema ipotesi di soggettività giuridica antecedente alla nascita, ancorché subordinate a tale evento, e addirittura fattispecie in cui la soggettività giuridica è riconosciuta al non ancora nato e neppure subordinata al successivo evento della venuta ad esistenza della persona, come nel caso di cui all’art. 1 della legge 40/2004, ove si garantisce al concepito la tutela di diritti, riconoscendogliene la titolarità e così implicitamente soggettività giuridica, che, allora, cede la sua astrattezza per trasferirsi sul piano della concreta titolarità (considerata l’accordata tutela), tanto da chiedersi se essa non si trasformi in attuale capacità.
In altre parole, non sempre vi è perfetta coincidenza tra persona fisica e soggetto giuridico, di guisa che il dictum della pronuncia appare sin troppo tranchant.